Work-life balance: la tua vita non è il tuo lavoro
Il termine “work-life balance” nasce negli anni ’70, frutto della naturale tendenza dell’uomo a dare un nome alle cose per poterle comprendere, quasi non bastasse indicarle per farle diventare oggetto di riflessione.
Alla nuova etichetta venne affidata la responsabilità di sintetizzare un concetto abbastanza delicato: l’equilibro tra il lavoro, in termini di ambizione professionale, e la vita privata.
Oggi, a 50 anni di distanza, sembra assurda la distinzione tra lavoratore e persona, tanto più quella tra la vita, intesa come svago, divertimento, famiglia, e il lavoro, che essendo sull’altro lato della bilancia finisce per diventare l’avversario da battere.
Piuttosto che di work-life balance dovremmo parlare di “life balance”. Un nome più appropriato, per una riflessione migliore. Ma a prescindere dalle etichette, cerchiamo di capire perché l’argomento meriti la nostra attenzione.
Il problema del work-devotion scheme
Come reagiresti se in fase di colloquio ti chiedessero: «Sei fidanzato?», oppure: «Vivi ancora con i tuoi genitori?». Potresti pensare ad un’intromissione ingiustificata nella tua vita privata, ed avresti ragione.
Queste domande devono insospettirti, perché potrebbero essere il segnale che l’azienda segue una politica opposta al work-life balance, ovvero il work-devotion scheme.
Ciò significa che i dipendenti perfetti sono quelli disponibili 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, sempre pronti al sacrificio.
Assurdo? Neanche troppo.
Ci viene insegnato che il lavoro duro e l’elemento essenziale per accrescere la nostra reputazione sociale, e l’unità di misura della nostra dignità diventa il numero di ore lavorate.
Più ore lavori, più fai il tuo dovere, più sei rispettabile in società. E nel frattempo insegui il tempo libero.
Una ricerca dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha evidenziato quali siano gli effetti del work-devotion scheme sulla società italiana:
– scarsa qualità dell’impiego
– stress
– mancata crescita del tasso di occupazione femminile
– incidenza negativa sul tasso di fertilità
Senza il work-life balance sei destinato all’esaurimento da lavoro, la sindrome di burnout. Schiacciato da mille impegni, sarai meno produttivo, perderai la passione, ti sentirai senza energie.
E a quel punto non basterà una vacanza per riprenderti, avrai un vero e proprio problema di salute.
So cosa stai pensando, basta evitare le Big Three (McKinsey, Bain e The Boston Consulting Group) per vivere felice. Sbagliato, metti da parte la tua paura della consulenza, perché ho rifiutato di lavorare in aziende che mi proponevano 09:00-24:00 come a orario di lavoro medio o volevano la mia presenza nel weekend.
Spero tu sia una persona intelligente, ma è meglio chiarire un concetto: il duro lavoro paga, e senza impegno non andrai mai da nessuna parte. Sarà sempre così, ma il primo passo è usare la testa: work smart first, senza paura di sporcarti le mani.
Come si riconosce il vero work-life balance
È possibile che per convincerti a lavorare per loro alcune società usino la leva del work-life balance. Sanno già che è un argomento che ti sta a cuore ed inizieranno ad elencare le loro politiche di welfare aziendale.
Centri sportivi convenzionati, flessibilità in entrata e in uscita dal lavoro, smart working, telelavoro, e chi più ne ha più ne metta.
Ma la realtà dei fatti è davvero quella? Senza una cultura organizzativa informale che favorisca il work-life balance, le politiche formali sono inutili.
Un manager poco comprensivo, ad esempio, potrebbe spingere i membri del team a rinunciare a certi benefit per paura di giocarsi la carriera. Per questo il network è importante, se conosci già qualcuno che lavora lì dove vorrebbero assumerti, chiedi come stanno le cose.
Fai domande mirate anche in sede di colloquio, ma non esagerare. Sei lì per ottenere un lavoro, non le ferie pagate o lo sconto in palestra.
Fortunatamente sempre più aziende stanno acquisendo consapevolezza dei benefici del work-life balance. Ne risente la loro immagine, e di conseguenza la capacità di catturare i migliori neolaureati. Aumenta la produttività delle risorse, che sono meno stressate, diminuiscono anche i costi nel caso di smart working.
Insomma, ne beneficiano tutti, e bastano davvero delle piccole accortezze per raggiungere buoni risultati.
– Prenditi cura di te stesso, trova spazio per lo sport, o per vedere il tuo programma preferito.
– Impara a dire “no”. Prendi l’abitudine di non dormire con il pc, non rispondere al telefono quando sei a cena.
Ancora una cosa: la tua salute e la tua felicità vengono sempre prima del lavoro. Non è obbligatorio fare scelte drastiche, come quella di Andy Puddicombe, il work-life balance può essere raggiunto nella quotidianità, con una bella camminata a metà giornata, spegnendo per un po’ il cellulare, avendo sempre chiara la propria lista delle priorità.
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Valerio Principessa
Ingegnere dell’informazione, laureato in Ingegneria gestionale. Tra consulenza ed azienda, ha alle spalle esperienze in 5 settori diversi: Automotive, Banking, Gaming, Pharma e Tobacco.
Ha creato Benvenuto a lavoro nel 2018.